Davide Buscaglia

Riflessioni sul posare


Spesso da fotografo prima di uno shooting o tra chiacchiere condivise mi viene detto: mi piacerebbe che mi fotografassi, ma mi raccomando, "non mi fare posare."

Inizialmente ci cascavo in pieno, un po’ per non mettere in difficoltà la richiesta, un po’ per proteggere anche me. 

Ho sempre avuto in mente ispirazioni fotografiche e immagini a cui tendere, pensare di poterle ottenere evitando di posare era una mera illusione. Evitavo.

La domanda giusta

Le cose sono cambiate quando ho iniziato a chiedermi cosa significa posare? Cosa non ti piace del posare? Cosa significa per me chiedere una posa? .

Provo a rispondere qui, per iscritto, perché so che il mio modo di fare fotografia è cambiato. Semplicemente mi accorgo di ciò che è successo e lo scrivo, per lascare traccia, per elaborare. 

Cosa significa posare (secondo me).

La posa, quella cosa strana e apparentemente innaturale che inizialmente mi spaventava nel tempo è diventa altro. Dandomi la possibilità di crescere.

Ci sono infiniti modi probabilmente per definire la posa. Inizialmente temevo significasse dare alla modella indicazioni con la gelida pretesa che venissero eseguite. Ma non mi convinceva del tutto. 

E poi che succede se non lo fa? 

L’ho visto fare, mettiti così, no così…sposta la testa lì, metti le spalle lì, girati, alza la gamba. Ecco così proprio no, non funziona. Ho visto fotografi irrigidirsi perché la modella apparentemente non riusciva a soddisfare le intuizioni creative di chi da una situazione gerarchicamente superiore pretendeva movimenti e provava a dirigere la situazione.

Troppo facile pretendere dal proprio luogo sicuro.

Questo aumenta la distanza, la tensione, il fastidio, l’irritazione, e crescono le insicurezze. Da una parte e dall'altra. 

Come sta la modella in questa situazione? Per un po’ ci prova, poi sale la frustrazione e le insicurezze rispetto alla propria immagine sono a un passo da te. 


Incontrare le proprie insicurezze mentre un fotografo sta puntando dritta dritta la macchina fotografica sulla tua immagine produce immagini insicure.


Per fare un bel ritratto è necessario invece costruire insieme pose condivise.

Esistono infatti pose costruite insieme, dinamiche e movimenti in cui il fotografo deve entrare, e viverle. 

Il processo del posare qui continua a esistere, ma in questo caso non si pretende. La  posa viene costruita e vissuta insieme. 

Come fotografi ritrattisti (e non solo) non possiamo restare nella nostra comfort zone. Dobbiamo uscire dal proprio luogo sicuro ed entrare nella relazione. 

Affrontare le proprie insicurezze, ed esporci. 

Quale atteggiamento?

Il fotografo deve posare, giocare e non smettere mai di condividere feedback rispetto ai micromovimenti che emergono durante lo shooting. Rassicurare e potenziare quello che spontaneamente l’altro esprime. Valorizzarlo, ed empiricamente dirigerlo. Sostenerlo nell’espressione della propria bellezza.

Sono dinamiche e movimenti che emergono nella relazione e nella relazione vanno colte e valorizzate. Da fotografo è necessario entrare lì dentro, con tutti i rischi che corriamo, consapevoli che solo vivendola la fotografia può caricarsi di quell’energia che ci fa tornare a casa felici, soddisfatti e gratificati dal lavoro realizzato.  Perché di nuovo, l’immagine finale non è altro che il risultato di un processo fotografico e di tutto ciò che accade lì dentro. 

Quindi torno alla domanda iniziale: cosa è la posa? 

La posa è il risultato finale di un processo fotografico che prima di tutto è un processo relazionale.

Dai un'occhiata a Ritratti Interni: lì dentro c'è tutto, relazione, posa, ambiente, esposizione, rottura della comfort zone.


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